Le cure palliative e la fase diagnostica della lesione post traumatica cerebrale

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La lesione cerebrale su base traumatica (TBI) è la condizione patologica causata da una forza esterna, più comunemente una caduta, o una botta dovuta ad un’aggressione o in seguito ad un incidente stradale.

La gravità del TBI è comunemente classificata secondo la Glasgow Coma Scale (GCS).

La grande maggioranza dei pazienti con TBI da lieve a moderata sostanzialmente recupera; mentre questo non è vero per il TBI grave.

La GCS valuta la migliore risposta verbale, la migliore risposta motoria e lo stimolo necessario per sollecitare l'apertura degli occhi, con punteggi che variano da 3 a15; quando il risultato finale è da 8 a 3 evidenzia la presenza di un coma.

I TBI lievi/mild rappresentano l’80% dei casi e a 30 minuti dal trauma hanno una
GCS di 13-15.

I TBI moderati/moderate sono caratterizzati da un’alterazione o perdita di coscienza per più di 30 minuti dopo il trauma e una GCS di 9-12 a 6 ore.

Un TBI grave/severe comporta la perdita immediata di coscienza per più di 6 ore con una GCS residua di 3-8.


La Glasgow Outcome Scale (GOS) è una scala a 5 punti normalmente utilizzata negli studi di ricerca sul cervello traumatizzato, mentre la Extended Glasgow Outcome Scale (GOS-E) a 8 punti, che  è caratterizzata da maggiore sensibilità di valutazione rispetto al livello di funzione, è meno usata.

Nella GOS il punteggio 1 corrisponde alla morte; il 2 allo stato vegetativo persistente (incosciente e incapace di interagire); il 3 alla disabilità grave (cosciente, non può vivere in maniera indipendente; richiede assistenza giornaliera a causa di menomazione fisica o mentale); il 4 indica una disabilità moderata (è in grado di vivere autonomamente, di lavorare in un ambiente supportato) e il 5 un buon recupero (minimo o nessun deficit, in grado di lavorare e di socializzare normalmente).

Oltre a carenze funzionali globali il 10% dei sopravvissuti con TBI grave ha deficit della memoria, del funzionamento esecutivo, dell’impulso di comando, dell’elaborazione sensoriale, e della capacità di comunicazione.

I problemi di salute mentale sono comuni.

Complessivamente la mortalità a 30 giorni dal trauma è circa del 20% ed è tanto più alta quanto più basso era il punteggio iniziale di TBI.

Per i pazienti con punteggio iniziale GCS di 3-5, solo il 20% sopravvive e meno della metà dei sopravvissuti avrà quello che è spesso definito in letteratura come un ''buon risultato'' (GOS 4-5). L’età avanzata, il basso punteggio, l’anomala reattività pupillare iniziale, la lunghezza del coma e la durata dell’amnesia post-traumatica, oltre ad alcuni risultati della tomografia computerizzata, indicano un’inferiore probabilità di raggiungere un GOS 4-5.

Kothrari propone la seguente linea guida prognostica, sulla base di un riesame globale degli studi che hanno valutato le condizioni di adulti traumatizzati a livello cerebrale a 6 mesi o più dall’evento:

A. Esito favorevole (GOS 4-5) quando si riescono ad eseguire i comandi in meno di 2 settimane dalla lesione e quando la durata dell’amnesia post-traumatica è inferiore a 2 mesi.
B. Risultato scarso (GOS <4) è possibile quando il paziente ha più di 65 anni, il tempo
necessario per seguire i comandi è più lungo di 1 mese, o la durata di amnesia post-traumatica è maggiore di 3 mesi.

? Da tener presente: il 10% dei pazienti non avrà l'esito previsto dalle linee guida ai punti A e B.

Un recente studio collaborativo multinazionale ha sviluppato un modello prognostico per prevedere i risultati nella TBI. Il modello, per dare i
tassi di mortalità a 14 giorni e una GOS post traumatica a 6 mesi, utilizza: età, GCS, reattività pupillare, presenza di lesione extracranica maggiore e (opzionale) gli accertamenti della tomografia computerizzata.

È a disposizione un calcolatore on-line a cui accedere per analizzare i dati.

Le famiglie di pazienti con grave TBI dovrebbero essere consultate rispetto alle decisioni sulle cure mediche (ad esempio: esecuzione della gastrostomia, supporto ventilatorio cronico, dialisi). Tali decisioni dipendono spesso dalla comprensione da parte della famiglia dello stato funzionale del paziente,  a lungo termine. Gli indicatori prognostici sopradescritti possono aiutare i medici a fornire informazioni obiettive alle famiglie circa la probabilità di recupero dopo un TBI. Come per tutti gli strumenti prognostici, tuttavia, i medici possono solo
prevedere, in base al decorso di altri pazienti con lesioni simili, quali siano le probabilità che una determinata cosa accada al paziente in esame.

È importante comunicare l'incertezza che accompagna la maggior parte delle stime prognostiche e informare sulla prognosi funzionale a lungo termine, così come sull’evoluzione  prevista dei trattamenti (compreso ciò che comporterebbe la riabilitazione).

Se la letteratura scientifica definisce un ''buon recupero'', una GOS 4-5, ciò può non costituire un recupero ''buono'' per uno specifico 
paziente in quanto non prevede l’indipendenza. I medici dovrebbero evitare un linguaggio siffatto e utilizzare invece dettagliate descrizioni dei risultati funzionali e cognitivi attesi. Precoci e frequenti riunioni con i famigliari facilitano la comunicazione, la costruzione di un rapporto, e sono essenziali per impostare le aspettative e definire gli obiettivi di cura. Se i trattamenti di sostegno vitale sono stati iniziati, è utile puntualizzare che vanno considerati come un tentativo dalla durata limitata.

Questo autorizza i membri della famiglia ad interrompere la cura dopo un certo periodo di tempo se la prognosi rimane invariata
o se il trattamento non è conforme agli obiettivi di cura (ad esempio, favorendo il ripristino di uno stato funzionale, che è accettabile per il paziente).

La presenza nel team interdisciplinare di logopedisti, fisioterapisti, fisiatri, neurologi, medici di cure palliative e neurochirurghi può essere importante per consentire ai membri della famiglia di comprendere appieno il probabile futuro del loro congiunto.

per approfondimenti >> Prognostication in Severe Traumatic Brain Injury in Adults #239 Stacy M. Kessler, M.D. and Keith M. Swetz, M.D. jpm.2011.968